lunedì 12 novembre 2007

Il terremoto in Irpinia: alcune testimonianze



23 novembre 1980
Quel tragico ventitré novembre correndo e scherzando per le strade, una bella giornata di festa avvolta dentro un tiepido sole. Pensavo fra un mese è Natale e quanti ricordi di amici e miei cari lontani, vola il mio pensiero tra loro rincorrendosi con la luce, il mio cuore palpita e mi dice, questo giorno non finisce mai. Vai speranza corri anche tu tra loro non chiudere mai il tramonto, e non fermarti a guardare, fai che la notte non insegua più il giorno e fermi il vento che mi porta il pianto, e le grida di aiuto di quella povera gente.

Michele Bortone
Lugano,
bortmik@freesurf.ch

Erano le 19.35 del 23 novembre 1980, quando due scosse sismiche a distanza di pochi secondi una dall'altra sconvolsero per un interminabile minuto e venti secondi una vasta area dell'Appennino meridionale, a cavallo tra l'Irpinia e la Basilicata. Scosse del decimo grado della scala Mercalli che causarono oltre 2.000 morti, 10.000 feriti, 300.000 senza tetto. Furono cancellate oltre 77mila costruzioni in 686 comuni ed altre 275.000 rimasero gravemente. Lioni, Laviano, Sant'Angelo dei Lombardi, Conza, Lioni, Teora, Pescopagano... interi paesi scomparvero in pochi istanti. Paesi dai nomi quasi sconosciuti, fino a ieri; ora scolpiti nella memoria. Migliaia furono i volontari accorsi da ogni parte d'Italia e del mondo. Le sovvenzioni per la ricostruzione (60.000 miliardi di vecchie lire se si include anche la zona di Napoli) causarono in seguito altri terremoti, quelli politici per gli scandali per la ricostruzione.
Ma la verità "vera" è che fu proprio Napoli e non l'Irpinia a beneficiare di quasi tutti quei soldi. "Non vi dimenticheremo" disse ai terremotati il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. In queste zone a distanza di venticinque anni si parla ancora di Terremoto.
Lino Sorrentini
direttore responsabile
www.agendaonline.it
Agendaonline.it ha realizzato uno speciale fotografico per non dimenticare.


Ci sono giorni in cui Si muore, giorni in cui il destino accomuna migliaia di anime in un unico destino beffardo. Uno di quei giorni... Erano le 19.35 del 23 novembre 1980, quando due scosse sismiche a distanza di pochi secondi una dall'altra sconvolsero per un interminabile minuto e venti secondi una vasta area dell'Appenino meridionale, a cavallo tra l'Irpinia e la Basilicata. Scosse del decimo grado della scala Mercalli che causarono oltre 2.000 morti ed oltre 10.000 feriti, 300.000 senza tetto, La furia di uno dei terremoti più violenti del secolo. Lioni, Laviano, Sant'Angelo dei Lombardi, Conza, Teora, Pescopagano... interi paesi non esistevano più. Cancellarono oltre 77mila costruzioni in 686 comuni e ne danneggiarono gravemente altre 275.000. Paesi dai nomi quasi sconosciuti, fino a ieri. Migliaia i morti. Le sovvenzioni per la ricostruzione (60.000 miliardi se si include anche la zona di Napoli) causarono in seguito altri terremoti politici per gli scandali per la ricostruzione. Migliaia i volontari accorsi da ogni parte d'Italia e del mondo. "Non vi dimenticheremo" disse ai terremotati il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. In queste zone a distanza di venticinque anni si parla ancora di Terremoto. Si lavorava giorno e notte alla luce delle fotocellule con la speranza di ritrovare dei superstiti sotto le macerie. Intere palazzine sbriciolate. Tantissime scosse di terremoto seguirono quel 23 novembre e ti trovavi sbattuto da una parte all'altra come un filo di erba, sentendoti impotente contro le forze della natura... mi tornano alla mente i racconti dei contadini spaventati che mi raccontavano che la terra si muoveva come le onde del mare. Avevamo deciso, io e i miei amici, di partire da Roma e portare dei soccorsi... non quelli ufficiali. Raccoglievamo materiale nei centri di raccolta e andavamo per le campagne con un furgone a cercare gente isolata che aveva bisogno delle cose più elementari e il furgone era anche la nostra casa viaggiante. Un giorno ci trovammo, in prossimtà di una delle case che vedrete nelle foto. Sbucò improvvisamente dalla nebbia un uomo anziano, aveva circa 80 anni, mi corse incontro e mi gettò le braccia al collo e stringendomi forte, piangendo, mi implorò di portarlo via di là... aveva perso tutto. Il cuore e la mente mi si sbriciolarono come polvere al vento e ancora oggi sento le sua voce rotta dal pianto. Questa esperienza ha segnato la mia esistenza. Da allora niente fu uguale a prima... Ci volle molto tempo per riprendermi ma rimase un segno profondo dentro di me.
Massimo De Dominicis


Il seguente articolo è linkato su www.repubblica.it/speciale/irpinia/container.html


Irpinia, venti anni dopo
IL REPORTAGE/2
Le anomalie della ricostruzione nella città più ricca del cratere
Lioni, container senza fine
"Ne restano un centinaio, c'è chi non vuol andar via"
di ELEONORA BERTOLOTTO

LIONI - Il marocchino vende orologi sulla strada della cattedrale, ha ricavato un banco nella nicchia accanto alle vetrine del bar "Venezia", un luogo insieme esposto e appartato, quasi un bazar dove puoi trovare di tutto e apprezzare la gentilezza un po' circospetta di uno che il vento della miseria ha spazzato via dall'Atlante e non gli par vero di essere trapiantato qui fra le montagne, fuori da ogni rotta, nel cuore del cratere, grazie alle baracche del terremoto. Rosetta D'Amelio, il sindaco, la racconta in questo modo: "Disgraziatamente non siamo ancora riusciti a smantellare tutti i prefabbricati". Ne restano un centinaio, per quattrocento persone, vent'anni dopo. Non ci abitano solo i terremotati storici, ovviamente. Di questi, ce n'è una manciata che non aveva una casa di proprietà al momento del crollo e per cui non è stata tempestivamente pensata una risposta in termini di edilizia economicopopolare. Ma la gran parte degli inquilini è di seconda e terza generazione: nuove coppie che, non avendo un luogo dove andare, si sono sistemate alla meno peggio nei locali che qualcuno aveva sgombrato. E c'è fra gli altri, per l'appunto, una piccola comunità di colore attratta da una città con vocazione commerciale così spiccata da renderla persino tollerante. Ma è ben ora di finirla con queste "case provvisorie", vent'anni dopo. Tanto più che, collaudate com'erano per un tempo infinitamente più breve, hanno pannelli con l'amianto e a rigore andrebbero subito abbattute. Uscire dal passato non è comunque facile, anche se l'impresa è tardiva e se il passato è doloroso e precario. Così oggi risulta complicata non solo l'opera di smantellamento (si tratta pur sempre di rifiuti speciali per cui si è reso necessario uno stanziamento della Regione). E' anche difficile convincere una piccola massa di diseredati che pagare una pigione, ancorché modesta (qui gli affitti si aggirano attorno alle trecentomila lire al mese), per un "vero" appartamento è cosa migliore che starsene gratis in uno "finto". L'aspetto paradossale, dunque, è che il travaso, apparentemente positivo, viceversa non è immune dalle polemiche. Al punto che la signorasindaco, che è sociologa e per professione prima di essere eletta si occupava dei servizi sociali, per liberare un primo lotto d'una trentina di prefabbricati (poi ne resteranno altri cinquanta) si è indotta a contribuire con una quota rilevante, duecentomila lire, agli affitti che dovrebbero essere sborsati dalle famiglie meno abbienti. In attesa, ovviamente, che si completino le case popolari oggi in costruzione e che (forse) l'anno venturo saranno consegnate. Per il raduno dei volontari che dopodomani, nel giorno dell'anniversario, si svolge proprio qui, in quella che con i suoi 228 morti e la quasi totale distruzione è diventata la cittàsimbolo del terremoto Lioni si è preparata alla grande, inaugurando una serie di opere pubbliche appena ultimate (dal centro per anziani al palazzetto dello sport fino al teatro all'aperto dove sono conservate le vestigia del tempo che fu "prima" del sisma, ben poca cosa una fontana e un portale ma fortemente simbolica), e soprattutto allestendo un parco contiguo alla centralissima piazza San Rocco, un parco che ha chiamato "della solidarietà", dove si potrà camminare fra le piante regalate dalle Province di Pistoia e di Siena e che sono tante quante furono le vittime. E' il tentativo senza retorica di "rinnovare le radici" restando legati a un passato che è difficile individuare quando tutto è troppo nuovo, troppo ricostruito. Esigenza comunque fortemente sentita da una città (l'unica del cratere) proiettata senza tentennamenti verso il futuro, forte com'è della sua area industriale che non ha dato esiti fallimentari (una delle poche), ma soprattutto delle 800 attività commerciali e d'artigianato (una ogni 7 abitanti, quasi una per famiglia), dei 12 bar, dei 10 pub che ogni weekend attirano non meno di cinquemila giovani dai paesi delle colline circostanti. Sarà che aveva poca storia da esibire (Lioni è sì antichissima, se è vero che compare nelle guerre sannite e che nei registri angioini già le veniva attribuito il nome Leonum, ma non aveva certo le preesistenze di tanti altri centri che le fanno corona), la città che uscì dal sisma badò subito al concreto, senza per altro dover scendere a patti con troppi vincoli. Già allora era fatta di artigiani e commercianti, che si rimboccarono le maniche e cominciarono a lavorare quando ancora non erano usciti dalle tende. E fra le prime iniziative comunali ci fu la creazione di un'area destinata alla vendita e alle attività produttive che oggi esiste ancora e che fin da allora ha consentito al centro di mantenere la vocazione di "raccoglitore" d'un bacino d'utenza largo sessantamila persone. Questo attivismo imprenditoriale ha creato una singolare "anomalia" nell'economia irpina, generalmente depressa, incerta sul da farsi, divisa da una litigiosità comunarda che ostacola le prospettive di sviluppo. Sicché, nel generale panorama di spopolamento del cratere, le cui tinte fosche sono accentuate dalla applicazione della legge che impone la cancellazione dai registri comunali dei residenti all'estero, Lioni è l'unica isola in (modesta) controtendenza, se è vero che il numero di abitanti è passato dai 5861 dell'80 agli attuali 6017. Sarà poco, ma il saldo attivo (a cui va sommato il rilevante numero dei morti) dimostra che l'emorragia di uomini può essere arrestata, ma l'unica ricetta è quella che con disarmante semplicità Raffaele Lieto, segretario della Camera del lavoro irpina, definisce: "Dare ai giovani una ragione per restare". A questo scopo servono certo le fabbriche, ma soprattutto un'idea di futuro, una impalcatura attorno a cui progettarsi. Che consenta una volta per tutte di "non dimenticare", ma anche di guardare oltre al terremoto.

N.B. Un solo, disincantato commento: a distanza di ben 7 anni dalla pubblicazione del precedente articolo, il Comune di Lioni ha un nuovo sindaco e una nuova amministrazione, ma la realtà sociale di Lioni non è affatto cambiata...

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